Information to International Client of FATCA AGREEMENT

RECOMMENDATION TO US INTERNATIONAL CLIENT

The FATCA agreement and the act itself will enter into force by 1 July 2014.

Within the scope of the implementation of the FATCA agreement, all banks are required to disclose information on US accounts to the US Internal Revenue Service (IRS) This Firm would like to take this opportunity to advise its United States (US) Citizens and residents about the Foreign Account Tax Compliance Act (FATCA) and its significance to the parties concerned and their accounts held with Swiss and European Bank’s. The Foreign Account Tax Compliance Act (FATCA) is an Act legislated under the laws of the United States of America (US) that requires US Persons to report their financial accounts held outside the United States and for foreign financial institutions to report to the International Revenue Service (lRS) about their American client. Failure or non-compliance with the Act results in a 30% withholding of certain payments to accounts held by non-cooperating citizens.

FACTA agreement applies to all domestic and international offshore financial institutions operating in all offshore countries. US bank clients receive a letter from their bank, in which the bank requests their consent to its reporting of their account information to the IRS. Enclosed with the letter is an information letter from the FTA describing the steps involved in a possible administrative assistance procedure under the FATCA agreement. The United States can request administrative assistance only after it has received the aggregate reports from the bank and once the Protocol of Amendment to the double taxation agreement of 23 September 2009 has entered into force. This firm is available to give all assistance that you need to carry out your tax position.

With Regards

Avv. Mario Paolo D’Arezzo LL.M, PdD

Cypriot tax – A little overview of economic substance

The Tax residency is determined by application of  management and control of company. If the parties do not provide a formal definition of place of managemente and control of Company, the Cyprus authorities will follow  the definition of “place of effective management” provided by the OECD model convention.

However if you need to open a Cyprus Company, and you need to operate as an effective and real Cyprus company, you need to evaluate very well these basic parameters as well as:

1)  The majority of the directors of the company are residents in Cyprus;

2) The main important company decisions are taken in Cyprus by the local directors;

3) The headquarters of the company are maintained in Cyprus;

4) the Company has an economic substance in Cyprus;

With reference to this last issue, we have to consider that a Cyprus company has  as an economic substance in Cyprus, when there is a specific economic reason to operate from this State.

The concepts of “Economic substance” and “beneficial ownership” are extremely important in International European taxation as more and more countries are looking deeper into the “substance” of holding companies and challenge the beneficial ownership of their income as for example Italy.

As such, companies may be subject to evaluate by the tax authorities whereby substantial evidence for the substance of the company should be provided as well as real justification for their existence.

It is a rather dangerous exercise to try to codify what actions need to be taken by any company to enhance its substance. It simply cannot be an exercise of generalisation. Thus, careful planning and sophisticated tax advice is always needed to determine the extent of enhancing the substance of a company.

In any case many international company find Cyprus’s tax system an attractive jurisdiction for holding, financing, trading and intellectual property structures. We summarises the main benefits, and the tax laws multinationals should be aware of when choosing to operate there.

In particular, we would underline the main benefit of this jurisidiction :

  • Low corporate taxation at the rate of 12.5%;
  • Extended and exceptionally beneficial network of double tax treaties;
  •  Full adoption and compliance with the EU Directives;
  • Unilateral tax-relief for foreign tax suffered is granted irrespective of the absence of a double tax treaty;
  • Attractive intellectual property regime;
  •  Group re-organisations can be implemented without any tax consequences;
  •  Tax relief for group losses and losses carried forward for the next five years.
  •  No withholding tax on dividends, interest and royalties paid to non tax residents;
  • Gains from trading and disposal of securities are tax exempt;
  •  No capital gains tax from the sale of property situated outside of Cyprus;
  •  Dividend income is tax exempt upon easily met conditions;
  •  No inheritance and gift tax;
  •  Attractive permanent establishment rules;
  •  Low personal tax rates and introduction of significant incentives for first time employment in Cyprus for highly paid non-resident individuals.

La nuova normativa della Voluntary Disclosure

Il disegno di legge recante “Disposizioni in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all’estero” nonché per il potenziamento della lotta all’evasione fiscale ha in qualche modo recepito le indicazioni dell’OCSE in materia di riciclaggio ed autoriciclaggio.

Il nuovo disegno di legge prevede l’introduzione di quest’ultima fattispecie, la quale prevede una particolare procedura di collaborazione volontaria (c.d. voluntary disclosure) del contribuente con l’Amministrazione Finanziaria, da attivarsi entro il 30 settembre 2015, finalizzata all’emersione delle attività finanziarie e patrimoniali costituite o detenute fuori del territorio dello Stato.

L’obbiettivo del legislatore è quella di mettere in condizione il contribuente italiano di regolarizzare la propria posizione fiscale, attraverso il pagamento delle imposte dovute, beneficiando di particolari riduzioni delle sanzioni amministrative tributarie irrogabili e della esclusione della punibilità per gran parte dei reati tributari previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 nonché per i reati di riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita previsti dagli articoli 648-bis e 648-ter del codice penale.
L’articolo 1 del disegno di legge introduce un nuovo articolo 5-quater nel decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n. 227, in cui sono disciplinati i tratti salienti della procedura di collaborazione volontaria.

L’effetto delle indicazioni dell’OCSE sarà quello di ottenere un graduale abbandono del segreto bancario da parte dei Paesi attualmente caratterizzati dall’assenza di scambi automatici delle informazioni.
L’effetto per il sistema finanziario italiano sarà quello di tassare il contribuente secondo il principio del worldwide principle di ogni suo reddito prodotto all’estero.

Sulla base dell’attuale disegno di legge alla Camera sembrerebbe non esservi il limite di applicare la voluntary disclosure alle sole violazioni riguardanti l’omessa o inesatta compilazione del quadro RW, (commesse da persone fisiche, enti non commerciali e società semplici) ma di estenderlo anche fattispecie diverse.

La questione sarà quella di verificare la tipologia applicativa delle fattispecie diverse, ed il grado di incidenza di questa problematica anche alle fiduciarie ed alle società proprietarie di Trust Fund. Questa norma, infatti, riguarda in particolare anche tutti i Trustee che hanno una preciso onere di rivelare tutti quei conferimenti effettuati da contribuenti italiani che si nascondevano attraverso il proprio trust o fiduciarie straniere.

L’attuale testo alla studio della Camera prevede l’ampliamento in misura importante dei confini applicativi della collaborazione volontaria rispetto alla precedente versione dei disegni di legge n. 2247 e 2248 e, soprattutto, rispetto alla versione del decreto legge n. 4/2014, con interventi diretti sia alla estensione dell’ambito soggettivo di applicazione (includendo anche le società di capitali ad esempio) sia dell’ambito oggettivo includendo violazioni riguardanti l’applicazione della normativa interna in materia di redditi sulle persone (fisiche e giuridiche), l’IVA, l’IRAP e la disciplina dei sostituti d’imposta.
Alla luce di tali considerazioni potrebbe essere oggetto di regolarizzazione di tutte quelle condotte penalmente rilevanti quali ad esempio:
a) l’utilizzo di fatture per prestazioni inesistenti;
b) Transazioni fiscali nell’ambito strutture societarie – infragruppo (transfer pricing) attraverso le quali viene ridotta la base imponibile Irpef od Ires;
c) l’utilizzo di società cosiddette “esterovestite” (intese quali società fittiziamente localizzate in uno Stato a fiscalità agevolata, allo scopo di sottrarsi al sistema fiscale italiano);
d) l’utilizzo di “stabili organizzazioni occulte” ( intendendosi con tale termine tutte le sedi fisse di affari in cui un’impresa estera esercita, in tutto o in parte, la sua attività, in forma consapevole o inconsapevole – attraverso un’organizzazione di uomini e mezzi ovvero per il tramite di un soggetto il quale agisce in qualità di agente dipendente/indipendente – senza tuttavia dichiarare, all’autorità fiscale del Paese in cui è localizzata, i relativi proventi dalle stesse generati e ad esse direttamente imputabili).
Attualmente potrebbe essere estremamente interessante per i professionisti verificare se tra i propri clienti vi siano casi che potrebbero avere rilevanza penale al fine di considerare le ipotesi di voluntary disclosure, o altre alternative.

2. Casi di esclusione della punibilità penale
L’articolo 5-quinquies – introdotto nel decreto-legge n. 167 del 1990 dall’articolo 1 del disegno di legge in oggetto – alla lettera a) del comma 1 prevede che, nei confronti di coloro che aderiscano alla collaborazione volontaria, sia esclusa la punibilità per i seguenti reati tributari previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74:
a) dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (articolo 2);
b) dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (articolo 3);
c) dichiarazione infedele (articolo 4);
d) omessa dichiarazione (articolo 5);
e) omesso versamento di ritenute certificate (articolo 10-bis);
f) omesso versamento dell’IVA (articolo 10-ter). Resta ferma, invece, la punibilità per i reati di:
g) emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (articolo 8 del decreto legislativo n. 74 del 2000);
h) occultamento o distruzione di documenti contabili (articolo 10);
i) indebita compensazione (articolo 10-quater) e
j) sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (articolo 11).

Qualche perplessità sussiste in merito alla differente irrogazione di pena per i reati di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti (non punibile) e quello di emissione di fatture per operazioni inesistenti (punibile).

La perplessità nasce proprio dalla tipologia di questi reati, che a parere di chi scrive, appaiono essere simili tanto che la pena comminata è sostanzialmente identica.

Si vuole sottolineare come per il reato di dichiarazione fraudolenta attraverso l’uso di fatture per operazioni inesistenti, la norma preveda la non punibilità, per coloro i quali invece hanno dichiarato falsa fatturazione al fine di recare direttamente un danno all’Erario sussiste la piena punibilità .

L’accesso alla procedura di collaborazione volontaria da parte di chi ha dichiarato le fatture false – accesso reso possibile dalla prevista esclusione della punibilità del reato di dichiarazione fraudolenta – finisce pertanto con il risolversi in una denuncia verso coloro i quali hanno emesso le fatture false, le quali non essendo coperte da causa di non punibilità, non potrànno invece avvalersi, a loro volta, della procedura di collaborazione volontaria.

Il differente regime credo che risieda nelle speranze del legislatore, che nell’ambito dei documenti e delle informazioni che l’autore del reato dichiarativo dovrà obbligatoriamente fornire all’Amministrazione, e sicuramente emergerà il nominativo dell’emittente delle fatture false fraudolentemente dichiarate con conseguente ovvia punibilità.
Orbene trattandosi di fattispecie criminose che presuppongono una complicità tra gli autori dei due distinti reati, sarà quindi piuttosto probabile che l’autore del reato non punibile (quello dichiarativo) si astenga dal richiedere l’accesso alla procedura di collaborazione volontaria sul presupposto che non intende denunciare l’autore del reato punibile (quello di emissione).

Per tali motivi, al fine di incentivare l’emersione di tali fattispecie, che peraltro sono quelle che comportano un costo maggiore per la loro regolarizzazione (rilevando, generalmente, le stesse ai fini di più tributi), si potrebbe anche valutare l’opportunità di estendere la previsione di non punibilità anche al reato di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti di cui all’articolo 8 del decreto legislativo n. 74 del 2000. Considerata peraltro la netta differenza, in punto di disvalore sociale, esistente tra i delitti contraddistinti da fraudolenza e quelli risolventisi in mere infedeltà o omissioni della condotta, si potrebbe inoltre ipotizzare la previsione di un importo diversificato delle sanzioni amministrative irrogabili in caso di adesione alla procedura in esame e ciò con evidenti violazioni sul principio di ragionevolezza ex art. 3 della Costituzione, per manifesta ed iniqua applicazione della sanzione rispetto ai contenuti delle due fattispecie incriminatrici.

3. Determinazione delle sanzioni amministrative tributarie e del costo complessivo della regolarizzazione
L’articolo 5-quinquies – introdotto nel decreto-legge n. 167 del 1990 dall’articolo 1 del disegno di legge in oggetto – prevede al comma 4, ultimo periodo, che “nei confronti del contribuente che si avvalga della procedura di collaborazione volontaria, la misura minima delle sanzioni per le violazioni in materia di imposte sui redditi e relative addizionali, di imposte sostitutive, di imposta regionale sulle attività produttive, di imposta sul valore aggiunto e di ritenute è fissata al minimo edittale, ridotto di un quarto”. Purtuttavia si deve rilevare l’assoluta incertezza sulle sanzioni da applicare in proposito, sarebbe infatti opportuno un effettivo chiarimento sulle sanzioni amministrative tributarie irrogabili sulla base del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, rendendo con ciò automaticamente applicabili, anche ai fini della collaborazione volontaria, i criteri generali di applicazione e graduazione delle sanzioni ivi previsti, con conseguente operatività, tra gli altri, degli istituti del cumulo giuridico, della progressione e della continuazione, nonché possibilità di riconoscimento delle riduzioni e delle cause di non punibilità ivi stabilite, ove di fatto ne ricorrano le condizioni.

Per quanto concerne invece la determinazione del costo complessivo della regolarizzazione (comprensivo delle imposte nel loro importo integrale, degli interessi e delle sanzioni nella misura ridotta prevista dalla legge), va segnalato che per la regolarizzazione di casistiche che siano state originate da ipotesi di evasione pregressa ai fini di più tributi come ad esempio all’IRPEF, all’IVA e all’IRAP sarà detto costo pari ad un valore percentuale (calcolato sul valore complessivo delle attività da regolarizzare) che si avvicina, in taluni casi, all’ottanta/novanta per cento.
E’ evidente che costi così elevati sono tali da rendere poco plausibile l’accesso alla procedura, ma attualmente potrebbe aggirarsi sul 20%.

il Trust fittizio non protegge il patrimonio

a cura dell’avv. Mario Paolo D’Arezzo

Molte persone pensano che attraverso l’istituzione di un Trust si possa evitare il pagamento delle imposte o dei creditori, ma non è così.

E’ ovvio che se l’intento del disponente è quello di agire in frode ai creditori, questi potranno proporre un’azione revocatoria sulla base dei due presupposti: consilium fraudis ed eventus damni.

Si segnala agli utenti un’interessante sentenza della Corte di Cassazione  che ha confermato il sequestro sui beni in trust  ex316 cpp, sul presupposto che il disponente ne avesse la materiale disponibilità “uti dominus,” indipendentemente dalla titolarità del diritto in capo a terzi (Cassazione, sentenze 41670/2014 e 21621/2014),

Secondo la Suprema Corte, infatti,  è irrilevante la pertinenza dei beni ai reati contestati, dato l’esclusivo fine di garanzia patrimoniale costituente uno dei presupposti della misura cautelare (Cassazione, sentenza 805/2013), e sia, perché il comportamento sleale del trustee ha dato fondamento a un giustificato giudizio prognostico negativo in ordine alla conservazione delle garanzie patrimoniali del debitore nei confronti dello Stato.

Questa decisione è in linea con l’attuale orientamento giurisprudenziale del 2011 vd sentenza n. 13276,  quindi non stupisce che i giudici di legittimità abbiano deciso secondo queste modalità, anche perché il Trust non può avere finalità elusive, ossia rivolto ad evitare il pagamento delle imposte o peggio ancora evitare di pagare i creditori. Vale la pena ricordare come già nel 2011 la Suprema Corte avesse statuito come “il trust, tipico istituto di diritto inglese, si sostanzi nell’affidamento ad un terzo di determinati beni perché questi li amministri e gestisca quale ‘proprietario’ (nel senso di titolare dei diritti ceduti) per poi restituirli, alla fine del periodo di durata del trust, ai soggetti indicati dal disponente.

Presupposto coessenziale alla stessa natura dell’istituto è che il detto disponente perda la disponibilità di quanto abbia conferito in trust, al di là di determinati poteri che possano competergli in base alle norme costitutive. Tale condizione è ineludibile al punto che, ove risulti che la perdita del controllo dei beni da parte del disponente sia solo apparente, il trust è nullo (sham trust) e non produce l’effetto segregativo che gli è proprio”.

Il consiglio che si può dare agli utenti è di rivolgersi sempre a degli specialisti e non a professionisti generalisti.

Per la Cassazione non esiste la servitù di Parcheggio

Vogliamo segnalare la sentenza n. 23708 del 06 novembre 2014 della Suprema Corte di Cassazione con la quale ha sancito la non configurabilità di una servitù di parcheggio.

In questa controversia l’attrice in qualità erede evocava in giudizio la società alla quale il padre aveva, a suo tempo, venduto un piccolo appezzamento di terreno chiedendo al Tribunale che venisse accertato la servitù di parcheggio.

I giudici di merito accertavano l’esistenza della servitù secondo quanto statuito da un contratto reso tra il de cuius del suolo e la società in questione, ossia “che il terreno, compravenduto fosse gravato da servitù di parcheggio limitatamente a due auto” in favore del padre dell’attrice.

Veniva proposto dal convenuto ricorso per Cassazione, con il quale la società non riteneva configurabile il diritto ad una servitù di parcheggio, in quanto secondo la giurisprudenza di legittimità per tutte (Cass. sent. 7 marzo 2013, n. 5760) non poteva configurarsi una servitù in quanto “ il parcheggio di autovetture costituisce manifestazione di un possesso a titolo di proprietà del suolo, non anche estrinsecazione di un potere di fatto riconducibile al contenuto di un diritto di servitù, del quale difetta la realitas, intesa come inerenza al fondo dominante dell’utilità, così come al fondo servente del peso), mentre la mera commoditas di parcheggiare l’auto per specifiche persone che accedano al fondo (anche numericamente limitate) non può in alcun modo integrare gli estremi della utilità inerente al fondo stesso, risolvendosi, viceversa, in un vantaggio affatto personale dei proprietari (Cass. sent. 28 aprile 2004 n. 8137)” .

Con questa decisione la Suprema Corte riprendendo il suo consolidato orientamento, ha sancito la non riconoscibilità della servitù di parcheggio con la conseguenza che gli atti che determinano o disciplinano servitù di parcheggio devono essere considerati nulli per impossibilità dell’oggetto dell’atto di riconoscimento o di costituzione di servitù”.

Il reato di autoriclaggio – il termine di prescrizione

I reati tributari possono costituire anche la fonte per la commissione del reato di autoriciclaggio, così come emerge dall’ultima versione del disegno di legge. Secondo l’ipotesi posta allo studio dalla Commissione giustizia, l’autoriciclaggio (a differenza del riciclaggio e dell’impiego di denaro, beni e altre utilità di provenienza illecita) si realizza normalmente per la sola circostanza di non averne materialmente dichiarato la provenienza, e ciò anche se le somme siano state utilizzate personalmente per l’acquisto di beni personali.
Tale fattispecie criminosa riguarda chiunque abbia commesso o concorso a commettere il reato principale provvedendo successivamente con riferimento al denaro, beni o altre utilità provenienti dalla commissione proprio di tale delitto, all’impiego, alla sostituzione, al trasferimento in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, ulteriormente è necessario però che sia concretamente ostacolata l’identificazione della provenienza delittuosa di queste somme. In sostanza, il reato richiede che sia ostacolata l’identificazione di beni o denaro di provenienza illecita.
Appare evidente che in presenza di reati tributari la possibilità (anche involontaria) di commettere questo nuovo reato diventa particolarmente elevata a tal punto che, in molte ipotesi, con la semplice condotta illecita integrante il reato tributario, di fatto, si potrebbe consumare anche l’autoriciclaggio per il semplice contribuente.
La Commissione giustizia con questo disegno di legge mira a colpire tutti i proventi derivanti da evasione fiscale che vengono normalmente trasferiti o impiegati in attività economica, finanziaria, imprenditoriale o speculativa. Anche la Corte di Cassazione con la sentenza n. 43881 del 2014 sezione III penale, ha sancito che integra il reato di riciclaggio, sia qualsiasi prelievo o trasferimento di fondi successivi a precedenti versamenti, sia il mero trasferimento di denaro di provenienza illecita da un conto corrente bancario o un altro diversamente intestato e acceso presso un differente istituto di credito.
Questo trend giurisprudenziale intrapreso dal 2011 con la sentenza n. 546 del 11 gennaio 2011 1°sezione penale, secondo la quale il reato di riciclaggio è integrato anche nel caso in cui venga depositato in banca denaro di provenienza illecita, atteso che, stante la natura fungibile del bene, per il solo fatto dell’avvenuto deposito, il denaro viene automaticamente sostituito: in sostanza secondo la Corte di Cassazione, non è necessario che sia efficacemente impedita la tracciabilità del percorso dei beni, essendo sufficiente che essa sia anche solo ostacolata con al conseguenza che si rinviene il reato di riciclaggio anche nella condotta di mero trasferimento del denaro di provenienza delittuosa da un conto corrente a un altro di un diverso istituto bancario.
Va da sé che, il contribuente il quale non dichiari somme incassate per importi tali da integrare la dichiarazione infedele o la dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, certamente dovrà trasferire le somme e quindi il rischio di commettere anche il reato di autoriciclaggio.
Per evitare il nuovo reato dovrebbe, secondo il disposto del nuovo articolo 648 ter 1 codice penale, custodire e impiegare i proventi in modo del tutto trasparente: mal si comprende, come, in concreto, possa realizzarsi tale circostanza, atteso che già il loro versamento su un conto, secondo la Suprema Corte, rappresenta un ostacolo all’identificazione.
Secondo la Suprema Corte perché ci si possa “macchiare” del reato di riciclaggio conta qualsiasi prelievo o trasferimento di fondi successivo a precedenti operazioni. Così come dà luogo a riciclaggio il semplice trasferimento di denaro di provenienza illecita da un conto corrente a un altro, anche se intestato a una diversa persona e aperto preso un’altra banca «a prescindere dal rilievo che tali movimentazioni siano eseguite avvalendosi della firma di altri contitolari del relativo potere su un dato conto corrente.
Determinante, sottolinea la sentenza, è il carattere di fungibilità del denaro che porta ad una immediata perdita di identità delle somme versate sul medesimo conto corrente. Per questo, ricorda la Cassazione, per calcolare i termini di prescrizione di atti di riciclaggio consistenti in operazioni in uscita ad esempio da un conto corrente svizzero non bisogna considerare, come invece avevano fatto i giudici di merito, al giorno del versamento della provvista iniziale, «proprio perché essa, grazie alla fungibilità del denaro, non è più distinguibile una volta avutosene il versamento su un conto corrente alimentato da una pluralità di versamenti». Ulteriormente veniva anche respinta l’obiezione per cui il giorno da cui iniziare a fare decorrere la prescrizione, in caso di incertezza, deve essere quello più favorevole all’imputato.
Una previsione che vale solo in caso di approssimativa collocazione cronologica del momento in cui è commesso il reato, mentre, in questo caso, di delitto continuato, il reato va collocato in coincidenza con ogni singolo atto di prelievo e trasferimento individuabile con certezza attraverso documentazione.

Prima Casa – cantine escluse dalla superficie utile – Nuovo ricalcolo della superficie utile

La Suprema Corte con l’ordinanza n. 2307/14 , ha sancito per le prime case che le cantine vengano escluse dal conteggio della superficie utile.

La Corte di Cassazione in questo provvedimento ha sancito che non costituisce superfice utile complessiva di un immobile, le superfici delle cantine e delle soffitte (sottotetto), nonché la superficie esterna di pertinenza del condominio.

Va ricordato che dal 1 gennaio 2014, ai fini dell’imposta di registro, per usufruire dei benefici non si fa più riferimento al Dm del 2 agosto 1969, ma alla categoria catastale dell’immobile (che deve essere diversa da A/1, A/8 e A/9).

Mentre se la vendita è soggetta a IVA valgono ancora i vecchi criteri così come previsto dalla Sentenza n. 23507/2014.

Alcune piccole modifiche sul RAVVEDIMENTO OPEROSO da parte della proposta della legge di stabilità

Il ravvedimento operoso è lo strumento attraverso il quale il contribuente può rimediare ad eventuali omissioni o irregolarità che ha commesso, per mettersi in regola. In tal modo può beneficiare di sconti sulle sanzioni amministrative, ma solo se lo fa entro determinati limiti di tempo. Con il ravvedimento operoso, il contribuente può porre rimedio agli errori che ha commesso e mettersi in regola con eventuali omissioni o irregolarità beneficiando di sconti sulle sanzioni amministrative: ma solo se provvede a correggere quanto ha sbagliato entro determinati limiti di tempo. In caso di omesso o insufficiente versamento delle imposte, se si paga quanto dovuto:
entro 30 giorni dalla scadenza, la sanzione scende dal 30 per cento al 3 per cento;
dopo i 30 giorni, ma entro un anno da quando si è commesso l’errore, essa scende al 3,75 per cento.
Per quanto riguarda errori o omissioni di natura sostanziale è necessario ricordarsi che questi possono essere regolarizzati mediante il pagamento di una sanzione ridotta al 3,75 per cento di quanto dovuto.
• Qualora invece si tratti di errori materiali e di calcolo nella determinazione degli imponibili e delle imposte come ad esempio l’indicazione, in misura superiore a quella che spetta effettivamente, di detrazioni di imposta, oneri deducibili o detraibili, ritenute d’acconto e crediti d’imposta.
La sanzione è invece del 12,50 per cento in caso di errori ed omissioni identificabili come “infedeli dichiarazioni”, quali:
• errata determinazione di redditi;
• esposizione di indebite detrazioni o deduzioni.
Qualora invece
la dichiarazione dei redditi viene presentata in ritardo, ma non oltre i 90 giorni dalla data di scadenza, e non comprende errori di diverso tipo, il ravvedimento è previsto con il solo pagamento di una sanzione pari a 25 euro.
Infine, non è possibile usufruire del ravvedimento quando:
• l’errore è stato già individuato dall’amministrazione;
• sono già avviate ispezioni e verifiche;
• sono iniziate altre attività amministrative di accertamento comunicate formalmente.
Questa è l’attuale prassi, oggi con la proposta della nuova legge di stabilità, il Consiglio dei Ministri, a proposito del contrasto all’evasione fiscale ha previsto all’art. 44 della legge di stabilità la modifica all’attuale formulazione dell’istituto del ravvedimento operoso, di cui all’art. 13 del D.lgs. n. 472/1997.

In particolare, sono stati ampliati i termini per poter procedere al ravvedimento, indipendentemente dal verificarsi di accertamenti.
Infatti è possibile espletare il ravvedimento:
– Dal 15esimo giorno al 30esimo giorno dalla scadenza 1/10 della sanzione;
– Dal 31esimo giorno al 30 settembre dell’anno successivo a quello in cui è stato omesso o ritardato il tributo 1/8 della sanzione;
– Entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello in cui è stato omesso o ritardato il tributo 1/9 della sanzione (novità introdotta dalla DDL stabilità);
– Entro il 30 settembre del secondo anno successivo a quello in cui è stato commesso l’inadempimento 1/7 della sanzione (novità introdotta dal DDL stabilità);
Niente di clamoroso ma è un segnale che qualcosa si sta momento in direzione del contribuente, aspettiamo il testo definitivo

Le indagini difensive in materia penale negli accertamenti tributari

a cura dell’avv. Mario Paolo D’Arezzo

Questo è un piccolo vademecum che speriamo possa essere utile a coloro i quali hanno ricevuto avvisi di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate relativi al proprio reddito o al mancato versamento di imposte indirette.
Preliminarmente, la difesa del contribuente nel procedimento penale per reati tributari presenta una metodologia difensiva diversa rispetto agli altri reati, in quanto è improntata all’accertamento dei fatti oggetto dell’indagine tributaria, e quindi di un difesa attiva da parte dell’avvocato.
Il procedimento penale tributario è caratterizzato, infatti, dall’esecuzione da parte dell’agenzia o della guardia di finanza di accertamenti spesso induttivi basati su documenti contabili o extracontabili, per i quali è necessario fin da subito predisporre una difesa adeguata.
In questa fase è necessario che il contribuente collabori con l’avvocato difensore fin da subito per la predisposizione di giuste indagini difensive penali e tributarie con la scopo di ricostruire quanto accertato dall’Agenzia o dalla guardia di finanza.
E’ infatti necessario ricordare che proprio per la particolarità del procedimento penale-tributario l’avvocato difensore può difendere fin da subito il contribuente senza dover attendere la conclusioni delle indagini da parte del PM, raccogliendo prove documentali, e strutturare una difesa proficua contro le presunzioni tributarie, spesso utilizzate dall’agenzia anche in sede penale per l’accertamento della maggiore imposta.
Il contribuente, qualora, si trovi ad essere indagato per reati fiscali potrà utilizzarli nell’udienza preliminare, e ciò al solo fine di contrastare l’eventuale richiesta di rinvio a giudizio, o per difendersi nel rito abbreviato e patteggiamento.
Qualora, invece, il contribuente si trovi ad essere rinviato a giudizio, le prove raccolte potranno essere utilizzate nel processo penale, sia dal difensore che dal PM per le contestazioni ai testimoni in udienza.
In ogni caso, è necessario tenere presente come oramai sia assolutamente costante da parte della Suprema Corte di Cassazione, il ricorso alle presunzioni tributarie anche per determinazione dei reati tributari.
Ai fini della predisposizione della giusta difesa è necessario tenere nella dovuta considerazione come il giudice, nella formazione del suo convincimento, sia certamente tenuto all’osservanza dei canoni giuridici che in linea generale governano l’acquisizione, la verifica e la valutazione dei dati probatori, ma qualora manchino specifici elementi oggettivi, come documenti, deposizioni testimoniali, non potrà ignorare la cosiddetta prova logica e neppure le presunzioni secondo la normativa tributaria, avvalendosi, di dati processualmente acquisiti.
L’effetto di tale assunto è quello che molto spesso i nostri giudici fanno ricorso alla “presunzione” intesa come quella particolare disciplina probatoria che consente, per la ricostruzione di un maggior reddito, di ritenere esistenti determinati fatti in via induttiva – quale accertamento cosiddetto induttivo espressamente facoltizzato dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39 e ciò in presenza di specifiche violazioni tributarie.
Da ultimo è necessario ricordare che, ai fini della prova del reato di dichiarazione infedele, il giudice può fare legittimamente ricorso ai verbali di constatazione redatti dalla Guardia di Finanza ai fini della determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa, nonchè ricorrere all’accertamento induttivo dell’imponibile quando le scritture contabili imposte dalla legge siano state irregolarmente tenute (Corte di Cass. Penale sez. 3, n. 5786 del 18.12.2007 dep. 6.2.2008, D’Amico, rv. 238825).
E’ ancora più recentemente è stato ribadito che ai fini del superamento della soglia di punibilità di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5, il giudice può legittimamente avvalersi dell’accertamento induttivo dell’imponibile compiuto dagli uffici finanziari (sez. 3, n. 24811 del 28.4.2011, Rocco, rv. 250647; conf. sez. 3 n. 28053 del 9.2.2011, Cartera, non mass.), ivi compreso quello operato mediante gli studi di settore (sez. 3, n. 40992 del 14.5.2013, Ottaiano, rv. 257619).
Non solo, ma oramai risulta anche costante la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione secondo la quale in tema di reati tributari, il giudice può legittimamente basarsi, per accertare la penale responsabilità dell’indagato per le omesse annotazioni obbligatorie ai fini delle imposte dirette e dell’I.V.A., sull’informativa della Guardia di Finanza, che abbia fatto ricorso ad una verifica delle percentuali di ricarico attraverso una indagine sui dati di mercato e ricorrere anche all’accertamento induttivo dell’imponibile quando la contabilità imposta dalla legge (come nei casi di specie) sia stata tenuta irregolarmente (sez. 3, n. 729 dei 15.12.1995 dep. 23.1.1996, Holbling, rv. 203691).
L’ovvia conclusione di questo breve panorama giurisprudenziale è la predisposizione fin dai primi atti di notifica di pvc o di accertamento al contribuente o all’indagato di un’adeguata difesa fiscale-penale al fine di consentire fin da subito il contrasto della pretesa erariale, ed il venir meno di possibili reati a suo carico.

Addio evasione fiscale!!

A Berlino è stato siglato l’accordo multilaterale per lo scambio automatico di informazioni finanziarie contro l’evasione fiscale internazionale a partire dal 2017. Un accordo che riguarda 51 paesi e che si estenderà a 92 nel 2018.
Con un comunicato tra l’altro anticipato sul Sole 24 la scorsa settimana, il Ministero dell’Economia e Finanze, in occasione del Global Forum per la trasparenza e lo scambio di informazioni dell’OCSE (composto da 123 giurisdizioni più diversi organismi internazionali) che si è tenutosi a Berlino, 51 Paesi hanno sottoscritto l’accordo per l’implementazione del nuovo standard unico globale per lo scambio automatico di informazioni (Common Reporting Standard, elaborato dall’OCSE) a partire dal 2017. Altri 7 Paesi si sono impegnati a scambiare le informazioni a partire dalla stessa data, ancorché oggi non abbiano firmato l’accordo. A partire dal 2018 agli ‘early adopters’ si aggiungeranno ulteriori 34 Paesi.
Si tratta del punto di arrivo di un intenso e prolungato sforzo internazionale orientato a conseguire un accordo politico e tecnico tale da cancellare il segreto bancario. Risultato che può oggi dirsi raggiunto e implementato a partire dal 2017. In concreto, le attività di verifica sui conti saranno avviate dagli intermediari finanziari dei paesi early adopters già dal primo gennaio 2016.
L’Italia è sempre stata in prima linea nelle attività di contrasto all’evasione fiscale e ha sostenuto l’adozione di uno standard internazionale sin dai primi tentativi, partecipando al Gruppo dei 5 (G5: Francia, Germania, Italia, Spagna, Regno Unito) che ha elaborato, insieme agli Stati Uniti, l’accordo per l’applicazione del FATCA e il miglioramento della compliance fiscale internazionale.
Infine, il MEF precisa che in qualità di presidente di turno del Consiglio dell’Unione Europea, l’Italia ha finalizzato il testo della nuova Direttiva sulla Cooperazione Amministrativa, ottenendo l’accordo politico in occasione della riunione Ecofin del 14 ottobre. La nuova Direttiva impegna gli stati membri dell’Unione europea ad adottare il Common Reporting Standard a partire dal 2017 (con l’eccezione dell’Austria che adotterà lo standard dal 2018).