a cura dell’avv. Mario Paolo D’Arezzo
Questo è un piccolo vademecum che speriamo possa essere utile a coloro i quali hanno ricevuto avvisi di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate relativi al proprio reddito o al mancato versamento di imposte indirette.
Preliminarmente, la difesa del contribuente nel procedimento penale per reati tributari presenta una metodologia difensiva diversa rispetto agli altri reati, in quanto è improntata all’accertamento dei fatti oggetto dell’indagine tributaria, e quindi di un difesa attiva da parte dell’avvocato.
Il procedimento penale tributario è caratterizzato, infatti, dall’esecuzione da parte dell’agenzia o della guardia di finanza di accertamenti spesso induttivi basati su documenti contabili o extracontabili, per i quali è necessario fin da subito predisporre una difesa adeguata.
In questa fase è necessario che il contribuente collabori con l’avvocato difensore fin da subito per la predisposizione di giuste indagini difensive penali e tributarie con la scopo di ricostruire quanto accertato dall’Agenzia o dalla guardia di finanza.
E’ infatti necessario ricordare che proprio per la particolarità del procedimento penale-tributario l’avvocato difensore può difendere fin da subito il contribuente senza dover attendere la conclusioni delle indagini da parte del PM, raccogliendo prove documentali, e strutturare una difesa proficua contro le presunzioni tributarie, spesso utilizzate dall’agenzia anche in sede penale per l’accertamento della maggiore imposta.
Il contribuente, qualora, si trovi ad essere indagato per reati fiscali potrà utilizzarli nell’udienza preliminare, e ciò al solo fine di contrastare l’eventuale richiesta di rinvio a giudizio, o per difendersi nel rito abbreviato e patteggiamento.
Qualora, invece, il contribuente si trovi ad essere rinviato a giudizio, le prove raccolte potranno essere utilizzate nel processo penale, sia dal difensore che dal PM per le contestazioni ai testimoni in udienza.
In ogni caso, è necessario tenere presente come oramai sia assolutamente costante da parte della Suprema Corte di Cassazione, il ricorso alle presunzioni tributarie anche per determinazione dei reati tributari.
Ai fini della predisposizione della giusta difesa è necessario tenere nella dovuta considerazione come il giudice, nella formazione del suo convincimento, sia certamente tenuto all’osservanza dei canoni giuridici che in linea generale governano l’acquisizione, la verifica e la valutazione dei dati probatori, ma qualora manchino specifici elementi oggettivi, come documenti, deposizioni testimoniali, non potrà ignorare la cosiddetta prova logica e neppure le presunzioni secondo la normativa tributaria, avvalendosi, di dati processualmente acquisiti.
L’effetto di tale assunto è quello che molto spesso i nostri giudici fanno ricorso alla “presunzione” intesa come quella particolare disciplina probatoria che consente, per la ricostruzione di un maggior reddito, di ritenere esistenti determinati fatti in via induttiva – quale accertamento cosiddetto induttivo espressamente facoltizzato dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39 e ciò in presenza di specifiche violazioni tributarie.
Da ultimo è necessario ricordare che, ai fini della prova del reato di dichiarazione infedele, il giudice può fare legittimamente ricorso ai verbali di constatazione redatti dalla Guardia di Finanza ai fini della determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa, nonchè ricorrere all’accertamento induttivo dell’imponibile quando le scritture contabili imposte dalla legge siano state irregolarmente tenute (Corte di Cass. Penale sez. 3, n. 5786 del 18.12.2007 dep. 6.2.2008, D’Amico, rv. 238825).
E’ ancora più recentemente è stato ribadito che ai fini del superamento della soglia di punibilità di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5, il giudice può legittimamente avvalersi dell’accertamento induttivo dell’imponibile compiuto dagli uffici finanziari (sez. 3, n. 24811 del 28.4.2011, Rocco, rv. 250647; conf. sez. 3 n. 28053 del 9.2.2011, Cartera, non mass.), ivi compreso quello operato mediante gli studi di settore (sez. 3, n. 40992 del 14.5.2013, Ottaiano, rv. 257619).
Non solo, ma oramai risulta anche costante la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione secondo la quale in tema di reati tributari, il giudice può legittimamente basarsi, per accertare la penale responsabilità dell’indagato per le omesse annotazioni obbligatorie ai fini delle imposte dirette e dell’I.V.A., sull’informativa della Guardia di Finanza, che abbia fatto ricorso ad una verifica delle percentuali di ricarico attraverso una indagine sui dati di mercato e ricorrere anche all’accertamento induttivo dell’imponibile quando la contabilità imposta dalla legge (come nei casi di specie) sia stata tenuta irregolarmente (sez. 3, n. 729 dei 15.12.1995 dep. 23.1.1996, Holbling, rv. 203691).
L’ovvia conclusione di questo breve panorama giurisprudenziale è la predisposizione fin dai primi atti di notifica di pvc o di accertamento al contribuente o all’indagato di un’adeguata difesa fiscale-penale al fine di consentire fin da subito il contrasto della pretesa erariale, ed il venir meno di possibili reati a suo carico.