In quali ipotesi l’Amministrazione finanziaria può contestare l’esterovestizione societaria?
L’art. 73, comma 3 del TUIR considera residenti in Italia le società che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale della loro attività nel territorio dello Stato.
Il parametro di riferimento per l’individuazione della residenza, è previsto dal legislatore italiano sulla base di diversi criteri di collegamento con il territorio dello Stato, individuati sulla base di alcuni parametri come:
- la sede della società:
- ove viene esercitata l’attività economica della società ovvero si tiene conto dell’attività economica prevalentemente esercitata;
- del luogo da cui viene effettuata la gestione.
Ovviamente tali criteri sono fra loro alternativi, l’Agenzia può contestare che la società sia effettivamente residente in Italia anche se si realizza solo uno dei parametri sopra indicati.
La nascita del principio wordwide taxation contiene di per sé un principio antielusivo in quanto, con l’adozione di tale criterio gli Stati mirano a tassare ogni reddito prodotto nel modo come proprio, ed è ciò che accade nell’ordinamento italiano.
Il legislatore nel 2006 ha inserito il comma 5-bis all’art. 73 del TUIR, introducendo una c.d. “presunzione legale di esterovestizione”.
Tale presunzione consiste nel ritenere residenti in Italia società che presentano con lo Stato italiano alcuni elementi di collegamento come ad esempio:
- il controllo di società o enti residenti in Italia;
- la presenza di soci di controllo o amministratori in prevalenza residenti in Italia.
Purtuttavia la casistica non si limita ai casi tipici di controllo diretto come, ad esempio, nel caso di una controllante italiana A) che controlla la holding estera B), che, a sua volta, controlla la società italiana C), ma si estende alle ipotesi in cui tra i soggetti residenti controllanti si interpongano più sub-holding estere.
Al fine di dare uno sguardo di insieme alle maggiori questioni di esterovestizioni, la Circolare 28/E/2006 dell’Agenzia delle Entrate offre molti spunti di riflessione, spesso a mio avviso negativi, in quanto ha specificato che la presunzione di esterovestizione opera sia nei confronti del soggetto estero che controlla la società residente, sia al suo livello societario immediatamente superiore (es., tra le società B e C si interpone la società estera D).
L’obiettivo del legislatore non è quello di colpire indistintamente i contribuenti italiani che scelgono di stabilire effettivamente la propria sede societaria all’estero, piuttosto quello di ostacolare la collocazione meramente apparente della residenza in un altro Stato, mantenendo la “sostanza” in Italia.
Scelte queste che indubbiamente vengono effettuate dalla necessità dell’Agenzia di controllare l’effettiva collocazione produttiva del reddito, monitorando le ovvie ed infinite esigenze di cassa dello Stato italiano.
Quello che bisogna sapere è che non sempre la contestazione di esterovestizione è preceduta da un presunto vantaggio economico dell’azienda, potendo desumersi da elementi diversi atti a dimostrare la natura fittizia o abusiva dell’insediamento produttivo in un determinato paese.
In conclusione, vi è esterovestizione ed abuso del diritto di stabilimento è necessario che l’Agenzia verifichi:
- che il trasferimento vi è stato nella realtà, per cui necessita accertare di fatto se l’operazione posta in essere sia artificiosa e preveda la costituzione di una forma giuridica che non corrisponde alla realtà economica;
- natura fittizia della localizzazione all’estero della società;
- l’attività economica non è esercitata in altro Paese, non configurandosi atti di organizzazione e di attività imprenditoriale stabilmente localizzati.
Dal punto di vista probatorio, l’Agenzia dovrà individuare esattamente e contestare non attraveso presunzioni semplici:
a) il luogo in cui sono prese le decisioni strategiche per la società;
b) il luogo dove è prevalentemente svolta l’attività di impresa.
c) l’indebito e collegato risparmio d’imposta.
Quindi attenzione se intendi trasferire realmente la tua azienda all’estero devi prendere in considerazione tutti i criteri ed i protocolli previsti dal legislatore italiano.