
a cura di Mario Paolo D’Arezzo
Una delle questioni più delicate in tema di capacità di disporre testamento è quello di valutare se il testatore al momento della redazione del proprio testamento abbia la piena capacità di intendere e volere.
Il caso emblematico posto alla nostra attenzione è quello di un testatore affetto da deficit motorio il quale non incideva minimamente sulla sua capacità di esprimere in maniera intellegibile la propria volontà testamentaria in quanto un ictus gli aveva tolto l’uso della parola ed aveva parzialmente perso la capacità motoria.
L’incapacità naturale del testatore ai sensi dell’art. 591 c.c., che statuisce l’invalidità del testamento non si identifica generalmente in una generica alterazione del processo volitivo, richiedendo che, a causa della sua infermità, il soggetto, al momento della redazione del testamento, sia assolutamente privo di coscienza e della capacità di autodeterminarsi, così da versare in condizioni analoghe a quelle che, con il concorso dell’abitualità, legittimano la pronuncia di interdizione.
Ovviamente, la prova delle condizioni mentali, anteriori o posteriori, deve esser desunta da elementi presuntivi che il giudice di merito è sempre tenuto a verificare (Cass. 162/1981; Cass. 1851/1980; Cass. 3205/1971;Cass. 25053/2018 ;Cass. 1618/2022, Cass. 9097/2017 ;Cass. 32505/2023 ;Cass. 10927/2024 ).
Sotto questo aspetto, il testatore che si esprima in monosillabi o con gesti espressivi del capo non inficia la validità del testamento, qualora tali modalità siano le uniche coerenti con le condizioni di salute del de cuius. Nello specifico, quando il testatore sia affetto da un deficit motorio tale da non incidere sulla capacità di esprimere in maniera intellegibile la propria volontà. In tale ipotesi si considera che il consenso così esternato sia stato validamente manifestato.
Corte di Cassazione, Sezione 2, Civile, Ordinanza, 11 aprile 2025, n. 9534