La nuova normativa della Voluntary Disclosure

Il disegno di legge recante “Disposizioni in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all’estero” nonché per il potenziamento della lotta all’evasione fiscale ha in qualche modo recepito le indicazioni dell’OCSE in materia di riciclaggio ed autoriciclaggio.

Il nuovo disegno di legge prevede l’introduzione di quest’ultima fattispecie, la quale prevede una particolare procedura di collaborazione volontaria (c.d. voluntary disclosure) del contribuente con l’Amministrazione Finanziaria, da attivarsi entro il 30 settembre 2015, finalizzata all’emersione delle attività finanziarie e patrimoniali costituite o detenute fuori del territorio dello Stato.

L’obbiettivo del legislatore è quella di mettere in condizione il contribuente italiano di regolarizzare la propria posizione fiscale, attraverso il pagamento delle imposte dovute, beneficiando di particolari riduzioni delle sanzioni amministrative tributarie irrogabili e della esclusione della punibilità per gran parte dei reati tributari previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 nonché per i reati di riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita previsti dagli articoli 648-bis e 648-ter del codice penale.
L’articolo 1 del disegno di legge introduce un nuovo articolo 5-quater nel decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n. 227, in cui sono disciplinati i tratti salienti della procedura di collaborazione volontaria.

L’effetto delle indicazioni dell’OCSE sarà quello di ottenere un graduale abbandono del segreto bancario da parte dei Paesi attualmente caratterizzati dall’assenza di scambi automatici delle informazioni.
L’effetto per il sistema finanziario italiano sarà quello di tassare il contribuente secondo il principio del worldwide principle di ogni suo reddito prodotto all’estero.

Sulla base dell’attuale disegno di legge alla Camera sembrerebbe non esservi il limite di applicare la voluntary disclosure alle sole violazioni riguardanti l’omessa o inesatta compilazione del quadro RW, (commesse da persone fisiche, enti non commerciali e società semplici) ma di estenderlo anche fattispecie diverse.

La questione sarà quella di verificare la tipologia applicativa delle fattispecie diverse, ed il grado di incidenza di questa problematica anche alle fiduciarie ed alle società proprietarie di Trust Fund. Questa norma, infatti, riguarda in particolare anche tutti i Trustee che hanno una preciso onere di rivelare tutti quei conferimenti effettuati da contribuenti italiani che si nascondevano attraverso il proprio trust o fiduciarie straniere.

L’attuale testo alla studio della Camera prevede l’ampliamento in misura importante dei confini applicativi della collaborazione volontaria rispetto alla precedente versione dei disegni di legge n. 2247 e 2248 e, soprattutto, rispetto alla versione del decreto legge n. 4/2014, con interventi diretti sia alla estensione dell’ambito soggettivo di applicazione (includendo anche le società di capitali ad esempio) sia dell’ambito oggettivo includendo violazioni riguardanti l’applicazione della normativa interna in materia di redditi sulle persone (fisiche e giuridiche), l’IVA, l’IRAP e la disciplina dei sostituti d’imposta.
Alla luce di tali considerazioni potrebbe essere oggetto di regolarizzazione di tutte quelle condotte penalmente rilevanti quali ad esempio:
a) l’utilizzo di fatture per prestazioni inesistenti;
b) Transazioni fiscali nell’ambito strutture societarie – infragruppo (transfer pricing) attraverso le quali viene ridotta la base imponibile Irpef od Ires;
c) l’utilizzo di società cosiddette “esterovestite” (intese quali società fittiziamente localizzate in uno Stato a fiscalità agevolata, allo scopo di sottrarsi al sistema fiscale italiano);
d) l’utilizzo di “stabili organizzazioni occulte” ( intendendosi con tale termine tutte le sedi fisse di affari in cui un’impresa estera esercita, in tutto o in parte, la sua attività, in forma consapevole o inconsapevole – attraverso un’organizzazione di uomini e mezzi ovvero per il tramite di un soggetto il quale agisce in qualità di agente dipendente/indipendente – senza tuttavia dichiarare, all’autorità fiscale del Paese in cui è localizzata, i relativi proventi dalle stesse generati e ad esse direttamente imputabili).
Attualmente potrebbe essere estremamente interessante per i professionisti verificare se tra i propri clienti vi siano casi che potrebbero avere rilevanza penale al fine di considerare le ipotesi di voluntary disclosure, o altre alternative.

2. Casi di esclusione della punibilità penale
L’articolo 5-quinquies – introdotto nel decreto-legge n. 167 del 1990 dall’articolo 1 del disegno di legge in oggetto – alla lettera a) del comma 1 prevede che, nei confronti di coloro che aderiscano alla collaborazione volontaria, sia esclusa la punibilità per i seguenti reati tributari previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74:
a) dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (articolo 2);
b) dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (articolo 3);
c) dichiarazione infedele (articolo 4);
d) omessa dichiarazione (articolo 5);
e) omesso versamento di ritenute certificate (articolo 10-bis);
f) omesso versamento dell’IVA (articolo 10-ter). Resta ferma, invece, la punibilità per i reati di:
g) emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (articolo 8 del decreto legislativo n. 74 del 2000);
h) occultamento o distruzione di documenti contabili (articolo 10);
i) indebita compensazione (articolo 10-quater) e
j) sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (articolo 11).

Qualche perplessità sussiste in merito alla differente irrogazione di pena per i reati di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti (non punibile) e quello di emissione di fatture per operazioni inesistenti (punibile).

La perplessità nasce proprio dalla tipologia di questi reati, che a parere di chi scrive, appaiono essere simili tanto che la pena comminata è sostanzialmente identica.

Si vuole sottolineare come per il reato di dichiarazione fraudolenta attraverso l’uso di fatture per operazioni inesistenti, la norma preveda la non punibilità, per coloro i quali invece hanno dichiarato falsa fatturazione al fine di recare direttamente un danno all’Erario sussiste la piena punibilità .

L’accesso alla procedura di collaborazione volontaria da parte di chi ha dichiarato le fatture false – accesso reso possibile dalla prevista esclusione della punibilità del reato di dichiarazione fraudolenta – finisce pertanto con il risolversi in una denuncia verso coloro i quali hanno emesso le fatture false, le quali non essendo coperte da causa di non punibilità, non potrànno invece avvalersi, a loro volta, della procedura di collaborazione volontaria.

Il differente regime credo che risieda nelle speranze del legislatore, che nell’ambito dei documenti e delle informazioni che l’autore del reato dichiarativo dovrà obbligatoriamente fornire all’Amministrazione, e sicuramente emergerà il nominativo dell’emittente delle fatture false fraudolentemente dichiarate con conseguente ovvia punibilità.
Orbene trattandosi di fattispecie criminose che presuppongono una complicità tra gli autori dei due distinti reati, sarà quindi piuttosto probabile che l’autore del reato non punibile (quello dichiarativo) si astenga dal richiedere l’accesso alla procedura di collaborazione volontaria sul presupposto che non intende denunciare l’autore del reato punibile (quello di emissione).

Per tali motivi, al fine di incentivare l’emersione di tali fattispecie, che peraltro sono quelle che comportano un costo maggiore per la loro regolarizzazione (rilevando, generalmente, le stesse ai fini di più tributi), si potrebbe anche valutare l’opportunità di estendere la previsione di non punibilità anche al reato di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti di cui all’articolo 8 del decreto legislativo n. 74 del 2000. Considerata peraltro la netta differenza, in punto di disvalore sociale, esistente tra i delitti contraddistinti da fraudolenza e quelli risolventisi in mere infedeltà o omissioni della condotta, si potrebbe inoltre ipotizzare la previsione di un importo diversificato delle sanzioni amministrative irrogabili in caso di adesione alla procedura in esame e ciò con evidenti violazioni sul principio di ragionevolezza ex art. 3 della Costituzione, per manifesta ed iniqua applicazione della sanzione rispetto ai contenuti delle due fattispecie incriminatrici.

3. Determinazione delle sanzioni amministrative tributarie e del costo complessivo della regolarizzazione
L’articolo 5-quinquies – introdotto nel decreto-legge n. 167 del 1990 dall’articolo 1 del disegno di legge in oggetto – prevede al comma 4, ultimo periodo, che “nei confronti del contribuente che si avvalga della procedura di collaborazione volontaria, la misura minima delle sanzioni per le violazioni in materia di imposte sui redditi e relative addizionali, di imposte sostitutive, di imposta regionale sulle attività produttive, di imposta sul valore aggiunto e di ritenute è fissata al minimo edittale, ridotto di un quarto”. Purtuttavia si deve rilevare l’assoluta incertezza sulle sanzioni da applicare in proposito, sarebbe infatti opportuno un effettivo chiarimento sulle sanzioni amministrative tributarie irrogabili sulla base del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, rendendo con ciò automaticamente applicabili, anche ai fini della collaborazione volontaria, i criteri generali di applicazione e graduazione delle sanzioni ivi previsti, con conseguente operatività, tra gli altri, degli istituti del cumulo giuridico, della progressione e della continuazione, nonché possibilità di riconoscimento delle riduzioni e delle cause di non punibilità ivi stabilite, ove di fatto ne ricorrano le condizioni.

Per quanto concerne invece la determinazione del costo complessivo della regolarizzazione (comprensivo delle imposte nel loro importo integrale, degli interessi e delle sanzioni nella misura ridotta prevista dalla legge), va segnalato che per la regolarizzazione di casistiche che siano state originate da ipotesi di evasione pregressa ai fini di più tributi come ad esempio all’IRPEF, all’IVA e all’IRAP sarà detto costo pari ad un valore percentuale (calcolato sul valore complessivo delle attività da regolarizzare) che si avvicina, in taluni casi, all’ottanta/novanta per cento.
E’ evidente che costi così elevati sono tali da rendere poco plausibile l’accesso alla procedura, ma attualmente potrebbe aggirarsi sul 20%.